Al marito (o coniuge) dispotico può essere addebitata la separazione dei coniugi

La sentenza sottoriportata staturisce sull’addebito della separazione coniugale.
In particolare, dobbiamo ricordare come l’art. 151 cc stabilisca che al momento della dichiarazione della separazione giudiziale il giudice possa dichiarare l’addebito della separazione ad uno dei due coniugi. Il presupposto dell’addebito è un comportamento del coniuge tale da rendere intollerabile la convivenza.
Il caso di specie è relativo ad un marito che gestiva l’azienda agricola comune in maniera autoritaria senza permettere una reale gestione congiunta e dal suddetto comportamento ne è derivato la fine del cd affectio coniugalis.
Non vale a giustificare il comportamento del marito la tesi che la moglie abbia tollerato per anni la situazione o che l’ambito sociale in cui vivono permetta un simile comportamento.
Infatti, ad avviso della Corte il principio di uguaglianza morale e giuridica tra i coniugi (articolo 3 Cost.) e all’affidamento della costituzione e conservazione del rapporto matrimoniale (articolo 29 Cost.) basato sulla ricerca dell’accordo dei coniugi e sul rispetto della pari dignità dei coniugi nella conduzione della vita familiare non può essere derogato anche da un eventuale situazione sociale diversa: “ In tale quadro di riferimento ai valori costituzionali fondamentali in materia familiare non e’ possibile giustificare uno scostamento da tali principi basato sul permanere della rilevanza, in alcune aree sociali, di quel ruolo gerarchico che legittimava l’autorità del marito nelle società patriarcali.”

In particolare, la Cassazione rigetta la tesi della Corte di Appello di Venezia che considerava non fosse rilevante: “….valutare la gravità o meno dei comportamenti gestori del marito e se questi ha posto o meno in essere distrazioni dei beni comuni dovendo tale comportamento essere inquadrato nell’ambito di quel potere semiassoluto, noto nelle campagne padane e implicitamente accettato in famiglia, che lascia ogni decisione e arbitrio al padre riconosciuto dominus della gestione familiare.”

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FORTE Fabrizio – Presidente

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in Roma, a norma dell’articolo 52 via Confalonieri 5, presso lo studio dell’avv. (OMISSIS) (p.e.c. (OMISSIS), fax n. (OMISSIS)), che la rappresenta e difende unitamente agli avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS) “fax n. (OMISSIS), p.e.c. (OMISSIS) (OMISSIS)”) per mandato speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

nei confronti di:

(OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 171/12 della Corte di appello di Venezia, sezione 3 civile, emessa il 26 settembre 2011, depositata il 23 gennaio 2012, n. R.G. 810/2011;

sentito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RILEVATO IN FATTO

Che:

1. Il Tribunale di Rovigo, con sentenza n. 85/11 del 22 febbraio 2011, ha dichiarato la separazione personale di (OMISSIS) e (OMISSIS) rigettando le reciproche domande di addebito della separazione, di imposizione di un assegno di mantenimento pari a 600 euro mensili, di assegnazione della casa coniugale proposte in via principale dal (OMISSIS) e in via riconvenzionale dalla (OMISSIS).

2. Ha proposto appello la (OMISSIS) rilevando che la Corte di appello non aveva valorizzato gli elementi che portavano a identificare un quadro di mala gestio dell’azienda agricola comune, posto in essere dal (OMISSIS) che non aveva mai coinvolto la moglie nella gestione e aveva posto in essere atti di sottrazione dei cespiti comuni.

3. Il gravame e’ stato respinto dalla Corte di appello di Venezia, con sentenza n. 171/2012, nella quale si afferma che non e’ rilevante valutare la gravita’ o meno dei comportamenti gestori del marito e se questi ha posto o meno in essere distrazioni dei beni comuni dovendo tale comportamento essere inquadrato nell’ambito di quel potere semiassoluto, noto nelle campagne padane e implicitamente accettato in famiglia, che lascia ogni decisione e arbitrio al padre riconosciuto dominus della gestione familiare. La Corte di appello ha rilevato che per anni la moglie ha accettato questo stato di fatto e solo nel (OMISSIS), in relazione al problema della partecipazione dei figli all’economia familiare, sono sorti i contrasti fra i coniugi che hanno portato poi alla separazione. Da tali considerazioni la Corte di appello ha dedotto che su questo punto specifico la vita familiare si e’ disgregata e proprio i diversi schieramenti dei figli rispetto alla posizione dei genitori evidenziano che non certo e non solo ai comportamenti del padre e’ possibile ricollegare detta disgregazione.

4. Propone ricorso per cassazione (OMISSIS) affidandosi ad un unico motivo di impugnazione con il quale deduce violazione degli articoli 143 e 144 c.c. e contraddittoria motivazione. La ricorrente ritiene la sentenza impugnata contrastante con le norme citate che impongono ai coniugi l’obbligo reciproco di collaborazione e di concorde determinazione dell’indirizzo della vita familiare con la conseguenza che se i coniugi esercitano congiuntamente un’attivita’ economica per trarne

mezzi di sostentamento della famiglia essi debbono collaborare in posizione paritaria nell’esercizio e nella gestione dell’attivita’ comune senza che l’uno possa pretendere di gestirla ad esclusione dell’altro. Ritiene inoltre la ricorrente contraddittoria la motivazione che, per un verso ha accertato che la rottura del rapporto coniugale e’ derivata da un unico e ben individuato fattore causale e cioe’ la pretesa del marito di gestire l’azienda agricola comune, alla quale ha partecipato la moglie con il proprio lavoro e la comproprieta’ dei terreni, in modo unilaterale e a proprio esclusivo arbitrio, senza renderne alcun conto e addirittura appropriandosi e distraendo per se’ i proventi e le risorse dell’azienda. Mentre per altro verso ha, contraddittoriamente, negato la responsabilita’ del (OMISSIS) nel provocare la intollerabilita’ della convivenza e nella fine del rapporto coniugale.

RITENUTO IN DIRITTO

Che:
5. Il ricorso e’ fondato. Al di la’ dell’accertamento di una mala gestio del (OMISSIS) nella conduzione dell’impresa familiare la domanda di addebito proposta dalla (OMISSIS) aveva ad oggetto un comportamento interpersonale dispotico del marito che ha lentamente ma irreparabilmente minato l’affectio coniugalis. A fronte di un riscontro effettivo di questo dato esistenziale che ha contraddistinto la vita familiare la Corte di

appello ha valorizzato elementi sociologici e psicologici che non possono avere rilievo se rapportati ai principi che ispirano il diritto di famiglia da almeno quarant’anni. Ci si riferisce cioè al principio di uguaglianza morale e giuridica tra i coniugi (articolo 3 Cost.) e all’affidamento della costituzione e conservazione del rapporto matrimoniale (articolo 29 Cost.) a un criterio di regolazione dei rapporti coniugali basato sulla ricerca dell’accordo dei coniugi e sul rispetto della pari dignita’ dei coniugi nella conduzione della vita familiare (cfr. Cass. civ. sezione 1 n. 13983 del 19 giugno 2014). In tale quadro di riferimento ai valori costituzionali fondamentali in materia familiare non e’ possibile giustificare uno scostamento da tali principi basato sul permanere della rilevanza, in alcune aree sociali, di quel ruolo gerarchico che legittimava l’autorità del marito nelle società patriarcali.

6. Per altro verso il principio per cui l’addebito della separazione richiede la rigorosa prova sia del compimento da parte del coniuge di specifici atti consapevolmente contrari ai doveri del matrimonio – quelli tipici previsti dall’articolo143 c.c., e quelli posti a tutela della personalità individuale di ciascun coniuge in quanto singolo e membro della formazione sociale familiare ex articoli 2 e 29 Cost. – sia del nesso di causalità tra gli stessi atti e il determinarsi dell’intollerabilità della convivenza non consente di attribuire valore a un atteggiamento di tolleranza del coniuge che subisce atti lesivi della propria dignità e del proprio diritto all’uguaglianza nelle relazioni familiari. Infatti tale atteggiamento, anche se giustificato, più o meno consapevolmente, da una finalità di conservazione del legame coniugale e familiare determinato da una dipendenza psicologica dal coniuge dominante o dalla subordinazione a un interesse presunto o reale dei figli, non può valere a rendere disponibili valori e diritti di rango costituzionale la cui violazione e’ certamente valutabile ai fini dell’accertamento della responsabilità per la crisi irreversibile del matrimonio anche se quest’ultima costituisce l’esito di un lungo processo di evoluzione psicologica del coniuge più debole tale da rendere alla fine intollerabili comportamenti subiti per lungo tempo nel corso del matrimonio. Né infine l’insorgenza e la insanabilità del conflitto su una specifica questione di contenuto economico può rendere irrilevante la considerazione di un pregresso comportamento lesivo della pari dignità del coniuge che rivendica infine il diritto a partecipare alla decisione su questioni di rilevante importanza per la vita familiare in posizione di uguaglianza e con il rispetto del principio della ricerca dell’accordo dei coniugi.
7. Per la riconsiderazione della vicenda matrimoniale alla luce dei predetti principi la sentenza della Corte di appello va cassata con rinvio alla stessa Corte che, in diversa composizione, regolera’ anche le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Venezia anche per le spese del giudizio di cassazione. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalita’ e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere la generalita’ e gli altri identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

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