Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’appello aveva confermato la sentenza di condanna emessa nei confronti di alcuni minorenni per il reato di atti persecutori commessi in danno di un loro compagno di scuola, tradottisi in veri e propri atti di bullismo nei suoi confronti, la Corte di Cassazione (sentenza 8 giugno 2017, n. 28623) – nel disattendere la tesi difensiva secondo cui non poteva ritenersi sussistente l’elemento oggettivo e soggettivo del reato di cui all’art. 612-bis cod. pen., per l’assenza di dimostrazione della serialità delle condotte e del verificarsi dell’evento di danno richiesto dalla fattispecie incriminatrice – ha invece affermato che gli atti di bullismo posti in essere nei confronti della vittima integravano pienamente il reato in questione, essendo sufficiente ai fini della compiuta integrazione dell’evento del reato, la prova della causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, ove ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato.
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